Fra le matrici simboliche della denominazione “Le Rose bianche”, fermerò l’attenzione sulla Candida Rosa del Paradiso dantesco.

La “Mistica Rosa” ha in sé un alto valore simbolico che concorda pienamente con il senso profondo del Manifesto.

 

In primo luogo è opportuno fare un accenno alla struttura del Paradiso, come la immagina Dante; sarà Beatrice a spiegarla al pellegrino, in particolare nel canto IV.

Tutti i beati hanno la loro sede nell’Empireo, ma si mostrano al poeta distribuiti nei vari cieli per far comprendere, in modo accessibile ad un intelletto umano, una realtà di ordine assolutamente spirituale. I beati, infatti, in base alle loro disposizioni psicologiche e morali e ai loro meriti, godono di un diverso grado di felicità o beatitudine, che tuttavia è completa ed eterna.

A partire dal canto II del Paradiso, Dante ribadisce un concetto, che poi sarà ripreso, secondo cui nella creazione c’è piena identità fra l’Uno e il molteplice: Dio diffondendo la sua “virtù” o “valor” nel mondo sublunare, attraverso il sistema dei cieli di cui gli angeli sono i motori, diventa molteplice, ma è sempre l’Uno, l’unica fonte di pura energia cosmica effusa per tutto l’universo.

Allo stesso modo, le anime beate, pur nella suddivisione gerarchica, in realtà condividono la medesima sede e la medesima felicità, anche se in gradi differenti.

Nel canto XXIX, quando si avvicina l’ingresso all’Empireo, Beatrice, continuando ad istruire il poeta, riprende la concezione teologica secondo cui la visione intellettuale di Dio, la “prima luce”, concessa alle creature dalla Grazia illuminante, è la vera fonte dell’amore che a sua volta determina la beatitudine in ciascuno dei beati.

 

Gli attributi di Dio: “vedi l’eccelso omai e la larghezza de l’Etterno Valor . . . “ , richiamano l’esortazione di San Paolo agli abitanti di Efeso (Efesini 3,18) “ . . .  siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”.

San Paolo con i termini ampiezza, lunghezza, eccetera, che nella filosofia stoica indicavano la totalità dell’universo, evoca la funzione universale di Cristo e la rigenerazione del mondo.​

 

Il pellegrino Dante, dopo essere stato istruito da Beatrice, acquisito un bagaglio di sapienza, è finalmente in grado di salire nel luogo che non è in alcun luogo, ma vive dall’eternità nella mente di Dio, cioè l’Empireo. Per la grande luce il poeta non vede più nulla; “nulla vedere e amore mi costrinse”  a rivolgere nuovamente l’attenzione a Beatrice “il sol de li occhi miei”.  La sua straordinaria bellezza e la potenza che emana dal suo sguardo sono tali da proiettare il poeta verso l’alto, verso la vera sede dei beati, meta ultima del viaggio.

 

Al suo ingresso nell’Empireo, Dante viene circondato da una luce intensissima, a conferma che Dio è verità e la verità è luce.

Egli, che prima aveva quasi perduto la facoltà della vista, acquisito via via un potenziamento di tutte le sue qualità, può comprendere gradualmente la indescrivibile realtà trascendente.

Gli si presenta una scena primaverile: un giardino fiorito, gemme preziose, un fiume di luce.

Tornato a Colui che l’ha creato, il poeta ritrova ora la condizione innocente di un bambino che, ormai libero dalla superbia e dall’arroganza legate ad un falso sapere, è in grado di assistere al sublime trionfo del “verace  regno” : il fiume di luce si trasforma in lago e i fiori assumono la forma circolare di un’unica grande rosa.

Ora, finalmente, il pellegrino, sostenuto dalla Grazia, vede quelle figure – che prima gli erano apparse nascoste dietro una maschera, “larve” –  come persone vere, festose e felici.

 

Sono disposte in più di mille gradini circolari (il cerchio è simbolo di perfezione, perché è immagine di movimento che non ha né principio né fine e ritorna continuamente su se stesso), come in un immenso anfiteatro;  formano una enorme, gioiosa, rosa candida.

 

*  *  *

 

Il profondo e complesso pensiero di Dante, espresso in una così alta forma poetica, si deve considerare un’utopia?

Può costituire una  indicazione ,  un percorso da compiere ?

Può suggerire  il  tentativo –  a partire da noi stesse –    di prendere coscienza dei  pregiudizi ,  di dubitare delle  certezze aprioristiche,  di cambiare i modi egoistici di instaurare rapporti ?

 

Sulla base di una tale suggestione, noi socie speriamo di essere, come dichiara il Manifesto dell’Associazione Le Rose Bianche vere portatrici di armonia, aperte al dialogo e al confronto.

Accomunate da ideali fortemente condivisi, dall’intento di realizzare  il bene comune, da una attenta e leale comunicazione profonda.

Lucide nel trovare occasioni e mezzi per mostrare come sia possibile sperimentare – nella comune realtà quotidiana –  modi diversi di concepire la politica, la cultura, le relazioni umane.

 

Tutto senza pregiudizi teorici e preclusioni di fatto.

 

. . .   E il ricordo, l’immagine, l’analogia, il simbolo, la provocazione della Candida rosa sarà anche sostegno, difesa,  traguardo e corona delle nostre fatiche.

 

                                                                                                   Alia  Tarantello